30 nov 2016

#TFF34 - I film(s) della domenica

Siccome quest'anno me la sono presa comoda, nessuna levataccia - almeno la domenica - e tre film in programma. Uno divertente, uno molto interessante e uno abbastanza inutile.
Ma andiamo per ordine:

ABSOLUTELY FABOLOUS: THE MOVIE, di Mandie Fletcher
E' l'adattamento cinematografico di una serie tv inglese andata in onda sulla BBC tra il 1992 ed il 2012. Le protagoniste sono le stesse, ovvero Jennifer Saunders e la fighissima Joanna Lumley, che i più anziani - come la Tiz e la sottoscritta - ricorderanno nel ruolo di Purdey ne Gli infallibili tre (The New Avengers).
Edina Monsoon e Patsy Stone trasudano sfarzo e glamour. Da sempre sono abituate a una vita agiata nei posti più trend di Londra, tra shopping, drink e nottate. Durante un’inaugurazione ultramodaiola, però, spingono accidentalmente Kate Moss nel Tamigi e sono travolte dalla tempesta mediatica che si scatena dopo la prematura scomparsa della top model. In fuga senza un soldo verso la Costa Azzurra, Edina e Patsy riusciranno però anche in questo caso a rendere la loro vita un festa perenne…
Si tratta ovviamente di una commedia che prende per il culo il dorato mondo della moda, delle sue PR, e di tutto il corollario di varia umanità, pieno di camei divertenti: oltre a Kate Moss ci sono Jean Paul Gaultier, Jerry Hall e altra gente di cui al momento mi sfugge il nome. E la scena in cui Kate Moss riemerge delle acque del Tamigi con la sigaretta in bocca e il bicchiere di champagne in mano è semplicemente fantastica.
Disimpegno e umorismo pungente. 

ILEGITIM,  di Adrian Sitaru
Victor è un medico vedovo con quattro figli e un passato da delatore antiabortista. Quando i figli lo scoprono, durante un pranzo, insorgono contro il padre e la famiglia si spacca. Ma presto si presenta un imprevisto che li costringe a una scelta radicale. Un dramma familiare serrato, un capolavoro di recitazione corale che conferma la maestria di Sitaru nello stare addosso ai suoi personaggi mettendo in discussione il limite tra moralità e legalità.
Una delle cose più interessanti viste in questo festival arriva dalla Romania, e da Adrian Sitaru che dirige un dramma familiare che ci mostra quanto è labile il confine tra moralità e legalità, e quanto sia facile, se non si è parte in causa, sentenziare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Nel cast Adrian Titieni, che. come in Bacalaureat di Mungiu torna ad interpretare il ruolo di medico e di padre.

L'AVENIR (THINGS TO COME), di Mia Hansen-Løve
Quando la madre muore, e suo marito la lascia confessandole anni di tradimento, una professoressa di filosofia rigorosa e appassionata si rifugia in montagna con un ex studente dalle tendenze radicali (e la gatta Pandora), per poi tornare a casa e ritrovare se stessa. Puntigliosa e autoironica, Isabelle Huppert è la splendida protagonista del film di Mia Hansen-Løve, ritratto di una donna costretta imprevedibilmente a cambiare vita.
Come successo per "Elle", ho deciso di vedere L'Avenir per la presenza di Isabelle Huppert (e del gatto di Isabelle Huppert).  E questo è tutto quello che ho da dire sull'argomento.



24 nov 2016

#34TFF - Cosa ho visto, cosa vedrò, paraponziponzipò

Quest'anno il Torino Film Festival, giusto alla sua 34° edizione, ha aperto i battenti una settimana prima rispetto agli anni precedenti, in cui iniziava l'ultimo week end di novembre. E io, che prevedevo di prendere la consueta settimana di ferie per dedicarmicisivi.ci.vi.si.bi... ho optato per una frequentazione part-time, scegliendo di vedere una ventina scarsa di film. Ho già scritto due/tre minchiate su FB, ma, per tediarvi in maniera più completa, ho deciso di scrivere due o tre cose (praticamente le stesse) anche sul blog.
I film che ho visto e quelli che devo ancora vedere, tra domani pomeriggio e sabato mattina, sono questi:

e,... ad essere sincera, non ho visto, finora, nulla che mi abbia entusiasmato tantissimo. Un paio di buoni film, una manciata abbastanza inutili, uno fastidiosissimo, ma non c'era "IL" film per cui spellarmi le mani a forza di applausi.
Vi riassumo in breve i primi quattro film visti tra venerdì e sabato, riportando, per farvi capire la difficoltà a cui noi, poveri spettatori siamo sottoposti annualmente, le scamuffissime sinossi che si trovano sul programma:

ELLE, di Paul Verhoeven
Nulla sfugge al controllo di Michèle: l’azienda che dirige, leader nel campo della produzione software di videogiochi, i rapporti con i dipendenti, la sua rete sociale, la routine familiare e le amicizie. Un meccanismo oliato da anni di impeccabile gestione di ogni situazione, da cui è bandita ogni manifestazione di debolezza o sbavatura. Fino a quando una sera, rientrata a casa, Michèle non subisce l’aggressione di uno sconosciuto. Un atto brutale, che si rivelerà carico di inattese conseguenze emotive.
Allora. Va da sè che ho scelto di vedere ELLE fondamentalmente per la presenza di Isabelle Huppert (e del gatto di Isabelle Huppert), ché a sentire Paul Verhoeven io penso esclusivamente a Robocop. Qua prova a fare qualcosa di più "provocatorio", dirigendo una commedia che strizza l'occhio al thriller e che vorrebbe scardinare - senza per me riuscirci fino in fondo - le convenzioni sociali prendendo di mira la borghesia e le sue ipocrisie e bla bla bla, ma, alla fine, a parte qualche scena in cui si ride in modo più o meno amaro (su tutte il momento in cui il figlio della protagonista, non propriamente un fulmine di guerra, sembra non accorgersi che la sua compagna ha partorito un figlio mulatto) il film si trascina per troppo tempo, e il risultato complessivo non mi ha esattamente entusiasmato. 

BETWEEN US, di di Rafael Palacio Illingworth
I trentenni Henry e Dianne devono fare i conti con la realtà della coppia: gli anni della giovinezza, fatta di avventure, nuovi incontri e di un futuro tutto da scoprire, sono finiti. Quello che li attende è l’incubo della normalità e dell’età adulta: una casa in periferia, uno o più bambini e un cane da portare a spasso. Ma è davvero quello che vogliono? Quando le tensioni li porteranno a separarsi, seppure per una notte sola, troveranno le risposte che tanto cercavano.
Questo è il film che ha inaugurato il festival. Che se il buongiorno si vede dal mattino... Classica commedia indie come se ne sono viste altre millemila, con due protagonisti abbastanza insulsi, che non sanno quello che vogliono ma ci tengono a farcelo sapere a tutti i costi. Come se a noi fregasse davvero qualcosa.

MARIE ET LES NAUFRAGÉS di Sébastien Betbeder
Antoine l’aveva avvertito: Marie è pericolosa. Ma ciò non impedisce a Siméon di abbandonare tutto per seguirla. Un “tutto” che non è molto, visto che la storia con Béatrice è finita e la rivista per cui lavorava ha chiuso. Siméon decide quindi di lasciare Parigi e andare in Bretagna, sull’isola di Groix. Tuttavia, se pensava di iniziare un’avventura a due, si sbagliava: anche Oscar, il suo coinquilino musicista e sonnambulo, e lo stesso Antoine, scrittore in crisi d’ispirazione, sbarcano sull’isola. L’involontario quartetto parigino si trova così immerso in un luogo totalmente diverso, con personaggi tutti da scoprire.
Bertbeder è una vecchia conoscenza del TFF: suoi erano infatti il delizioso Inupiluk visto 2 anni fa ed anche 2 automnes 3 hivers visto nel 2013. Nel cast di Marie et les Naufragés secondo Dantes doveva esserci un non meglio identificato attore francese che lui non sopporta, e dopo aver tentato inutilmente di farmi capire di chi parlasse a forza di "massì, quello lì con quella faccia lì, quello lì!", salvo scoprire che quell'attore lì non recitava nel film. In compenso c'è Eric Cantona, che è sempre troppo divertente. Il film inizia con Simeon che trova un portafoglio e, grazie al documento, risale alla proprietaria e glielo riconsegna. La ragazza, Marie, ha appena troncato la relazione con Antoine (Cantona) e Simeon ne resta affascinato. Inizia così a pedinarla, arrivando a seguirla sull'isola di Groix, dove a breve arriveranno anche Antoine ed Oscar, coinquilino sonnambulo.
Molto piacevole.

SUNTAN di Argyris Papadimitropoulos 
Kostis è un dottore di mezza età, scapolo e senza famiglia, che si trasferisce su un’isoletta dell’Egeo. Qui trascorre un inverno lungo e solitario, ma con l’arrivo dell’estate l’isola viene invasa da giovani turisti in cerca di divertimento. Rapito dall'edonismo che lo circonda, Kostis si innamora della bellissima Anna, lasciandosi trascinare in un vortice di feste, alcol e sesso. Ossessionato dall'oggetto del suo desiderio, dovrà a fare i conti con la maturità alle porte e la giovinezza, mai pienamente vissuta, che reclama ciò che non gli è stato concesso fino ad allora.
Kostis è un grandissimo e patetico pezzo di merda che, nel mio film, avrebbe dovuto morire tra atroci sofferenze. Purtroppo il film l'ha diretto Papadimitropoulos che, per rispettare lo standard a cui ci hanno abituato i film greci degli ultimi anni, fa anche lui un film disturbante. Peccato che il risultato sia lontano anni luce da quanto realizzato dai compatrioti Yorgos Lanthimos, Alexandros Avranas o Michalis Konstantatos e Suntan è sì un film disturbante, ma nel senso più dispregiativo del termine. Inutilmente ripetitivo e morboso. E lo dice una che non è propriamente un'orsolina.


genius


Siccome sono una brutta persona, nell'attesa di raccontarvi qualcosa del Torino Film Festival vi intrattengo con un'opinione molto inutile su un film altrettanto inutile.

A parte che vorrei tanto sapere il motivo per cui Colin Firth in questo film non si leva MAI MAI MAI il cappello, che in certe occasioni fa pure maleducato, questo film, che mi ha lievemente tediato, l'ho visto doppiato. Probabilmente buona parte del tedio va attribuita ad un doppiaggio così enfatico da rendere insopportabili almeno tre quarti dei protagonisti.
Vi riassumo brevemente la mia espressione a fine visione: 


Michael Grandage è un regista teatrale, e, ascoltate una cretina, si capisce benissimo. Genius è il suo esordio cinematografico e ha potuto contare su un cast che azzarderei definire "coi controcazzi": oltre al già citato Colin Firth, ci sono Jude Law, Nicole Kidman, Laura Linney, Guy Pearce e Dominic West. Che, per un esordiente, a me sembra tanta roba.
Detto ciò, Grandage ci racconta, basandosi sul libro Max Perkins: Editor of Genius, ma romanzandola un po' (troppo) l'incontro tra Max Perkins - editor newyorkese che aveva già pubblicato i primi romanzi di F. Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway - e Thomas Wolfe, autore, manco a dirlo, a me totalmente sconosciuto.
Jude Law è bravissimo a dar vita ad un personaggio ingombrante, egocentrico, logorroico e tormentato, a cui si contrappone un posatissimo ed imperturbabile Colin Firth, ma il risultato finale non riesce a convincere del tutto.





10 nov 2016

The accountant


Ben Affleck in questo film è immenso. 
No, fermi, che avete capito? Intendo dire che è ENORME. Roba che più che "bisteccone" sembra l'intera macelleria, dopo che si è mangiato pure il macellaio.
Poi. vabbè, gli metti a fianco quello scricciolo di Anna Kendrik, una che riesce ad essere addirittura più bassa di me, e capisci che il buon Ben è davvero in forma (di parallelepipedo).
Detto ciò, questo The Accountant è un mix non perfettamente riuscito tra dramma familiare, action movie, thriller poliziesco e forse qualcos'altro che al momento mi sfugge, ed il risultato è... mah, bah, alla fine nemmeno così terrificante, ma sicuramente un progetto forse troppo ambizioso per un risultato un po' scamuffo.
Gavin O'Connor dirige un film che ogni tanto si ingarbuglia nei vari flashback sull'infanzia del protagonista e sui vari episodi del suo passato, che a volte più che spiegare il why e il because appesantiscono una trama già di suo inutilmente contorta.
Il nostro Ben interpreta Christian Wolff, un piccolo genio della matematica. Fate conto di trovarvi di fronte a John a beautiful mind Nash imprigionato dentro il corpo di Chuck Norris.
Wolff soffre di una forma di autismo ad alto funzionamento (non so dirvi se sia un'altra definizione della sindrome di Asperger o se si tratti di due patologie differenti, nel film - doppiato - l'Asperger non viene mai nominata) e ha sviluppato un talento matematico che l'ha spinto, negli anni, a diventare un contabile con un anonimo studio nei sobborghi di Chicago, e, al tempo stesso, la persona che gestisce gli affari di tutte le organizzazioni criminali del globo, dalla mafia ai cartelli della droga, senza trascurare terroristi arabi, oligarchi russi e chi più ne ha più ne metta.
Un bel giorno viene incaricato da un'importante compagnia del campo della robotica, per indagare su un presunto ammanco scoperto dalla giovane contabile della società (la Kendrik) e da quel momento il granitico e rigorosissimo Chris si troverà invischiato in un affare loschissimo, e, mentre la Divisione crimini del dipartimento del Tesoro è sulle sue tracce, dovrà mettere a prova tutte le sue capacità, non solo intellettive, per riuscire a capire chi (e cosa) c'è dietro la truffa della società da cui è stato ingaggiato.


Per girare questo film Ben Affleck ha imparato, oltre a judo e Jiu-jitsu, alcuni rudimenti del pentjak silat. Pare che abbia affermato "Questa tecnica di arti marziali non si è vista quasi mai sullo schermo, quindi risulta abbastanza nuova".
Alla luce di questa incauta affermazione, possiamo quindi tranquillamente stabilire che il povero Ben non abbia mai visto quel gioiellino indonesiano che risponde al nome di "The Raid", dove il pentjak silat la fa da padrone per almeno tre quarti di film.
Ha altresì affermato che quello di Christian Wolff  "è sicuramente il personaggio più interessante che abbia mai interpretato" e qua possiamo anche credergli. Del resto per interpretare un uomo che non riesce ad esprimere emozioni, chi meglio di lui e della sua inespressività?
Nel cast, oltre alla già citata Anna Kendrik troviamo anche J.K.Simmons, John Lithgow e Jon Bernthal.

8 nov 2016

La ragazza del treno



Siccome si tratta di un giallo, non vi racconterò molto della trama (che la visione del trailer basta e avanza), se non che Rachel (E.Blunt), amica più dell'alcool che di se stessa, ancora traumatizzata in seguito alla fine del suo matrimonio, tutti i giorni prende lo stesso treno, si siede nella stessa carrozza, allo stesso posto e guarda fuori dal finestrino, La sua attenzione viene colpita da una giovane coppia, che vive vicino a quella che una volta era casa sua, e, giorno dopo giorno, inizia a fantasticare sulla loro vita.
Quando la giovane donna sparisce, Rachel crede di sapere qualcosa, ma contemporaneamente ha paura, in quanto l'alcolismo le provoca vuoti di memoria.



Quello che sto per dire non sorprenderà nessuno: non ho letto il bestseller di Paula Hawkins. 
Un po' perché sono secoli che non riesco a leggere un libro, ma, soprattutto, perché, da "la solitudine dei numeri primi" in poi, mi tengo accuratamente alla larga dai cosiddetti bestseller o casi editoriali che dir si voglia (per la cronaca, La solitudine dei numeri primi lo trovai fastidiosissimo).
Quindi, incurante delle voci sentite in giro in merito alla bruttezza del film, sabato sera, con la bionda, sono entrata in sala per vedere se davvero mi stavo apprestando a vedere qualcosa di brutto brutto brutto.
Adesso, non sono certo qua a dirvi ci troviamo di fronte ad un capolavoro che resterà negli annali del cinema come il thriller del secolo, per carità. Ma non vi dirò nemmeno che si tratta di un film così terribilmente brutto, fosse anche solo perché Emily Blunt è semplicemente bravissima. E, diciamolo, bravissimi sono anche i suoi truccatori. 
Anche perché sinceramente mi sfugge il motivo per cui, ad esempio, per Gone Girl si sia gridato al capolavoro e per questo "la ragazza del treno" tutti pronti a tirar palate di merda. 
Per carità, là c'era David Fincher mentre qua abbiamo il semisconosciuto Tate Taylor, che tra voice off e flashback come se piovesse riesce a rendere il film un po' confuso, abbiamo una serie di personaggi caratterizzati poco e male, come usciti dagli schizzi a matita che Rachel fa sul treno. Diciamo che una sceneggiatura più fluida e una regia più esperta avrebbero giovato, ecco. 

7 nov 2016

La ragazza senza nome, il film senza empatia.


I fratelli Dardenne, di cui non sono certo la più grande estimatrice, tornano a due anni da "due giorni, una notte", ambientando il loro ultimo lavoro nella periferia di Liegi.
Protagonista è la dottoressa Jenny Davin, che presta servizio in un ambulatorio a tariffa minima, ma che è in procinto di trasferirsi in una prestigiosa clinica cittadina, dove ha ottenuto un incarico di rilievo. 
Una sera, quando l'ambulatorio è già chiuso, qualcuno suona il campanello, ma lei vieta allo stagista che lavora con lei di aprire, in quanto - appunto - l'ambulatorio è chiuso da un'ora.
Il giorno dopo viene avvicinata da un ispettore di polizia che le chiede di visionare i filmati delle telecamere, perché vicino all'ambulatorio è stato trovato il cadavere di una donna priva di documenti.
Jenny, guardando i filmati, realizza che la donna morta è quella a cui non aveva aperto in ambulatorio. Divorata dal senso di colpa, la monoespressiva dottoressa inizia ad indagare al posto della polizia.
Per carità, tutto molto bello, tutto molto legittimo, ma, in qualche modo, dovrebbe essere anche tutto molto toccante. E invece.
Diciamo che ci sono N via di mezzo tra il non aprire la porta di un locale oltre il suo orario di apertura e il trasferirsi a dormire nell'ambulatorio.
Il film dei Dardenne è senz'altro un film contro l'indifferenza generalizzata, che non riesce però ad arrivare al cuore, lasciandoci, alla fine, abbastanza indifferenti.